Di Daniele Carli
Il 1° gennaio, a Pechino, si è svolta la cerimonia celebrativa del 40° anniversario del Messaggio ai Compatrioti di Taiwan, che sancì la distensione dei rapporti tra la Cina Comunista ed il Governo Nazionalista taiwanese. In questa occasione, il presidente cinese Xi Jinping è tornato a parlare della questione della riunificazione.
In seguito alla vittoria del Partito Comunista Cinese (PCC) nella Guerra Civile (1927-1936; 1946-1950), i nazionalisti del Kuomintang (KMT) si rifugiarono presso l’isola di Taiwan, dove nacque quella che è oggi conosciuta come la Repubblica di Cina. Ciononostante, attraverso l’accettazione della “One China Policy”, il governo di Pechino impone ai propri partner diplomatici che si riconosca l’esistenza di una sola Cina, sottintendendo la Repubblica Popolare Cinese, di cui Taiwan costituirebbe la ventitreesima provincia.
Pur ribadendo che la transizione dovrà avvenire in maniera pacifica, il Presidente ha precisato che la Cina potrebbe comunque ricorrere alla forza per portare a compimento un processo definito “inevitabile”. A tal proposito, Xi Jinping ha sottolineato che le tendenze indipendentiste, tanto quanto l’intromissione straniera nella questione, sono da considerarsi “intollerabili”. Il piano di Pechino è quello di perseguire una riunificazione sulla base del principio costituzionale “one country, two systems”, formulato da Deng Xiaoping nel 1980 e già applicato per Hong Kong. Con le parole di Xi,“la proprietà privata, le regioni, le credenze ed i diritti legittimi della popolazione di Taiwan saranno totalmente garantiti”, nè saranno minati gli interessi economici di investitori stranieri sull’isola.
D’altro canto, anche Hong Kong ha la sua parte di dissidenti. Nel corso della Marcia di Capodanno, migliaia di attivisti democratici ed indipendentisti locali sono scesi in piazza per protestare contro l’erosione di diritti e libertà associati all’autonomia della provincia cinese, alimentando le preoccupazioni di quanti, a Taiwan, già dubitano della genuinità delle rassicurazioni del leader cinese.
Il 5 gennaio è arrivata la risposta della presidente taiwanese Tsai-ing Wen, ferma nel rimarcare l’impossibilità che un simile progetto possa essere accettato da qualsiasi rappresentante politico di Taiwan: “Chiediamo alla Cina che accetti la realtà dell’esistenza della Repubblica di Cina. Devono rispettare la devozione di 23 milioni di taiwanesi alla libertà ed alla democrazia”. Le dichiarazioni di Xi hanno permesso alla Presidente taiwanese di consolidare la sua posizione di paladina della democrazia, fondamentale sia nell’ottica dell’appoggio della comunità internazionale alla situazione dell’isola, sia per quanto riguarda il supporto dell’elettorato taiwanese in vista delle elezioni del prossimo anno.
La questione di Taiwan costituisce un tassello particolarmente importante nella composizione del mosaico geopolitico odierno e va a posarsi in uno degli interstizi in cui si incontrano le vaste ed articolate figure della Cina e degli USA. Con il Taiwan Relations Act del 1979, gli Stati Uniti si sono impegnati a difendere l’isola nel caso di attacco militare da parte della Cina, a condizione che lo stesso non sia seguito ad una provocatoria dichiarazione di piena indipendenza da parte della Repubblica di Cina. Le assertive dichiarazioni di Xi Jinping, dunque, rischiano di complicare ancor di più i rapporti tra i due Paesi, già incrinati dalla corrente guerra dei dazi.
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