“Rivoluzioni colorate” è l’appellativo con cui viene ricordata una serie di manifestazioni svoltasi principalmente nei Paesi dell’ex blocco sovietico. Scoppiate tra il 2003 e il 2008 e caratterizzate dalla declinazione non violenta delle proteste, le rivoluzioni colorate si diffusero in diverse regioni canalizzando il malcontento delle popolazioni locali che reclamavano l’affermazione di una reale democrazia ed emancipazione dall’URSS.
L’arancione è il colore della rivoluzione ucraina, di cui erano tinte le bandiere sventolanti durante i sit- in di protesta contro l’elezione di Yanukovich e a sostegno del suo sfidante, Yuschenko. La resistenza dei manifestanti ebbe il risultato sperato: la Corte Suprema ucraina invalidò il risultato elettorale indicendo nuove elezioni, dalle quali lo stesso Yuschenko uscì vincitore.
Allo stesso risultato condusse la cosiddetta rivoluzione dei tulipani, che trovò genesi e sviluppo nel contesto geopolitico del Kirghizistan. Nel 2005, l’alto tasso di corruzione e le condizioni di povertà estrema in cui versava il Paese indussero la popolazione a manifestare ad oltranza fino all’ottenimento delle dimissioni del presidente Akayev, al potere dal 1991.
Anche la Georgia mise in scena la propria rivoluzione colorata, meglio nota con il nome di rivoluzione delle rose. Per le sue peculiarità geografiche e storiche, le proteste sviluppatesi in tale Paese ebbero una risonanza maggiore rispetto a quelle dei suoi “vicini”.
Innanzitutto, la Georgia, all’interno dell’Unione Sovietica, aveva un ruolo differente rispetto ad altre Repubbliche: la provenienza di alcuni leader dell’URSS – tra cui lo stesso Stalin – dalla Georgia e le colture agricole di cui il Paese abbondava in virtù del clima mite, le permisero di ricevere un trattamento di riguardo anche durante il periodo di dominazione sovietica. Per tali motivi, il collasso del sistema sovietico agli inizi degli anni ‘90 fu avvertito in maniera più traumatica dalla Georgia.
Ottenuta l’indipendenza nell’anno di dissoluzione dell’URSS, Tbilisi riuscì a dotarsi di una nuova Costituzione solo nel 1995 e nello stesso anno le consultazioni elettorali videro la vittoria di Shevardnadze, che accentrò sempre di più il potere nelle sue mani.
Il sentimento di sfiducia e incertezza dilagante nella società civile portò alla ribalta un gruppo di politici, definiti “Giovani riformisti”, tra cui spiccava per personalità Saakashvili. Le azioni dei Giovani riformisti non giunsero a uno scontro diretto con l’establishment almeno fino al 2001, anno in cui il Governo tentò di bloccare le trasmissioni dell’emittente Rustavi 2. La popolazione scese in piazza non solo per dimostrare la propria solidarietà ai giornalisti, ma anche per protestare contro il governo e la corruzione dilagante.
L’episodio fu il preludio della rivoluzione delle rose, scoppiata a seguito dei brogli elettorali del 2003, che determinarono la conferma di Shevardnadze alla carica di Capo dello Stato. Il giorno successivo alla proclamazione dei risultati elettorali iniziarono una serie di sfilate che reclamarono l’annullamento delle elezioni. I manifestanti riuscirono a penetrare nel Parlamento portando una rosa in mano, segno della rivoluzione non violenta georgiana. Costretto dai protestanti, Shevardnadze diede le dimissioni e nel 2004 i georgiani elessero, con percentuali plebiscitarie, Saakashvili nuovo Presidente della Repubblica.
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